“Ma se io
dovessi scoprire che il più piccolo di tutti, il più povero di
tutti i mendicanti, il più sfacciato degli offensori, il nemico
stesso è in me, che sono io stesso ad aver bisogno dell'elemosina
della mia bontà, che io stesso sono il nemico da amare, allora che
cosa accadrebbe? “ C.G.Jung
Varie sono le forme di disagio e
malessere che possiamo vivere con noi stessi e di riflesso con gli
altri. Spesso lottiamo contro entità mostruose che ci fanno paura,
ci smuovono disprezzo rabbia disgusto e che rivestiamo con le
sembianze di quella o quell'altra persona.
La lotta si fa efferata,
e noi restiamo lì, esangui, senza che
nulla sia cambiato. Perché infatti nulla cambia se non volgiamo lo
sguardo al nostro mondo interiore: è allora che possiamo cominciare
a guardare negli occhi
i nostri mostri interiori, a dialogare
con loro e a calmarli comprendendone in profondità la loro presenza. Il discendere in noi stessi permette al nostro sguardo di cogliere le ombre e di portarle alla luce.
Cominciamo a smettere di lottare contro
noi stessi, a disprezzare i nostri lati oscuri perché non li
conosciamo e non li comprendiamo, smettiamo di puntare il dito
sull'altro ritenendolo causa mostruosa condannabile di ciò che siamo
o che riteniamo di essere, impariamo così a prenderci cura dei
nostri aspetti più oscuri e "sbilenchi", con quell'accettazione e
tenerezza che sono imprescindibili per trovare il proprio sentiero di
pace. Il saper fare questo, il predisporci a questo, è pratica di
vita e di sé, è pratica di amore: tenere in sé gli opposti.
Ci muoviamo in questo modo verso il
riconoscimento dell'unità, lasciando andare il condizionamento a
procedere per pezzetti ed estraneità a noi stessi e al mondo.
Vengano meno le resistenze ad un
autentico processo interiore di svelamento, si rivelino le strade ad
un'apertura e ad una maggior chiarezza di visione.
Immagine di Masao Yamamoto
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