mercoledì 8 dicembre 2021

 

Perché è importante l’educazione di genere oggi

25 Novembre 2021

Una donna uccisa per femminicidio ogni tre giorni, un dato a dir poco allarmante che basta a farci comprendere quanto sia importante la giornata internazionale contro la violenza sulle donne e quanto sia importante ragionare sull’educazione e la prevenzione.

Essere in strada il 25 novembre (quest’anno il 27 novembre per la manifestazione a Roma organizzata da Non Una Di Meno) per essere “il grido altissimo e feroce di tutte quelle donne che più non hanno voce” è necessario per tutte e tutti noi. Altrettanto importante è intervenire in ambito pedagogico perché si sviluppi una consapevolezza critica rispetto ai modelli culturali della società contemporanea. Perché è importante educare al femminismo oggi? Basti pensare negli spazi di gioco libero a quanto spazio occupano i bambini che giocano a pallone, e quanto le bambine a fare i loro giochi “composti”.

E’ proprio nello spazio del gioco che si esprimono le identità e che si definiscono ambiti e relative differenze sociali, per non parlare del mondo dei giocattoli mainstream, fortemente permeato di stereotipi. Giochi da maschi: supereroi invincibili, macchine transformers, l’aggiustatutto, addirittura armi. Giochi da femmine: bambole con corpi magri, oppure neonati da accudire, principesse, ferri da stiro e quant’altro. Il gioco da spazio di libertà viene a configurarsi come luogo di riproposizione di gabbie, stereotipi ed esclusione.  Chi opera nel campo dell’educazione non può ignorarlo. Maschietto, maschiaccio, femminuccia. Non occorrono spiegazioni sull’immaginario collegato a questi appellativi.

Per non parlare delle fiabe basate sul mito dell’amore romantico, l’amore impossibile (la donna pesce che se non si conforma al corpo umano dell’amato non può unirsi a lui), l’amore come possesso (la donna rinchiusa nella torre del castello), l’amore idealizzato (la futura principessa scorge il principe per pochi secondi e sa già che è lui l’uomo che amerà per sempre). Parliamo di storie che mostrano una donna asservita, dedita alla cura, la cui realizzazione dipende esclusivamente dall’uomo. E ancora il consenso negato in quel bacio che il principe dà alla principessa addormentata (in stato di coma). 

Educare al femminismo significa anche educare al consenso. Quante volte avrete sentito un genitore esortare il figlio/la figlia a dare un bacio a qualcuno. I gesti di affetto non possono essere “comandati”. Veniamo educati ad assecondare. E’ consueto tra adolescenti (e non solo): il bacio rubato, il contatto fisico spesso aggressivo non richiesto, la pacca sul collo, tirare la molla del reggiseno alla compagna di banco seduta davanti, la toccata improvvisa di sedere alla compagna di classe.  Non è vero che “chi tace acconsente”. Educare al femminismo significa anche educare a dire di no, sovvertire l’idea che il corpo della donna sia una conquista, un territorio di possesso da colonizzare o marginalizzare.

Educare al femminismo significa sfatare il mito della conformità dei corpi. Significa che non dobbiamo cercare nello specchio necessariamente quel dettaglio che ci convinca a piacerci, piuttosto raggiungere la consapevolezza che il problema è la società competitiva e patriarcale con i suoi modelli.Il sessismo si insinua in una normalità collettivamente tollerata fatta di stereotipi e ruoli imposti.

Ecco che la pratica dell’autocoscienza può essere efficace anche con le adolescenti, se inserita in un percorso strutturato in cui il momento dell’autocoscienza è parte di un laboratorio in cui si fa ricorso alla ludopedagogia, al Teatro dell’Oppresso, alla musica e all’espressione artistica per dare forma a momenti di liberazione. Importanti sono anche i momenti di confronto, per imparare ad essere coscienti, non fustigarsi e pretendere il proprio spazio in un mondo che esclude.

Percorsi di questo genere stanno nascendo presso associazioni, spazi informali ed educativi territoriali. Di recente il Punto Luce del Rione Sanità di Napoli, con l’associazione Piano Terra Onlus, ha dedicato uno spazio alle adolescenti chiamato “il cerchio delle ragazze”. Il cerchio delle ragazze è nato per affrontare delle questioni verso cui alcune ragazze del Rione Sanità avevano mostrato interesse e che volevano discutere. Tra queste: le relazioni e ruoli imposti (in particolare le relazioni con ragazzi gelosi che limitavano pesantemente la loro libertà, nonostante la giovanissima età), l’identità di genere e l’orientamento sessuale, il bodyshaming (giudizi sul corpo da parte delle loro stesse coetanee, o addirittura di persone adulte a loro vicine), la grassofobia e l’autostima. Come educatori ed educatrici abbiamo creduto importante costruire per le ragazze uno “spazio tutto per sé” dove confrontarsi a cuore aperto, con disinvoltura, senza subire i meccanismi di pressione e vergogna dei gruppi misti.

Sono spesso infatti gli adolescenti maschi – più problematici e chiassosi nello spazio pubblico – ad attirare l’intervento degli adulti perché il loro corpo nelle strade crea allarme mentre il corpo delle ragazze, più nascosto e silente, viene poco visto dalle politiche di intervento educativo.

In questi incontri con le ragazze si è sospeso il giudizio e si è praticato l’ascolto, sia verso le altre sia verso il proprio sentire. L’unica regola del cerchio è che tutto quello che si racconta merita l’ascolto, la responsabilità e la protezione di tutte: costruire reciprocità è infatti il primo passo per un gruppo di donne e ragazze che decidono di confrontarsi su temi delicati e che le coinvolgono profondamente.

Le ragazze hanno parlato attraverso i loro linguaggi, mescolando i loro modi di parlare vivi e del quotidiano, unendo racconti di sé a riflessioni su testi letti insieme ma anche portando loro testi di canzoni in cui si riconoscevano.  Di grande aiuto sono stati i libri: Bastava Chiedere di Emma,  Senza Tabù di Violeta Benini e Belle di Faccia di Chiara Meloni e Mara Mibelli.

Anche la musica ci ha ispirate. Per molti mesi su TikTok è girato un trend sulla canzone “Bella così” della trapper milanese Chadia Rodriguez, molto conosciuta da tutte le ragazze. L’abbiamo ascoltata e analizzata prendendoci quello che ci sembrava utile per acquisire forza, mentre abbiamo buttato via quello che non ci sembrava giusto. Come educatrice ho potuto notare come le parole d’ordine del “nuovo femminismo” sono presenti nelle ragazze sotto forma di un sentire condiviso a cui il femminismo “delle parole difficili” aggiunge una nominabilità politica collettiva. 

Ma ciò che nei quartieri popolari ci portiamo di più addosso (io sono nata e cresciuta a Scampia), è la coscienza di classe. La coscienza di classe in questi contesti è la bussola che nei ragionamenti ci guida verso un posizionamento anche rispetto alla violenza e ai ruoli di genere.

L’accettazione di dinamiche sessiste, stereotipi e un’educazione priva della prospettiva di genere, ha fatto sì che il femminicidio spesso sia stato paragonato a un crimine passionale. La prima conquista è stata chiamare questo crimine con il suo giusto nome, femminicidio per l’appunto, riconoscendo così tutte le donne strappate dalla Terra per mano violenta di un uomo. 

Il secondo grande passo deve essere considerare l’educazione di genere non come un percorso sperimentale bensì ordinario in tutti i contesti educativi per un’infanzia, un’adolescenza ed esistenze più libere. 

annuncio tratto da gliasinirivista.org

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