martedì 1 dicembre 2020

Non rinunciare a noi stesse

 Questa che segue, è la risposta di Non Una di Meno Torino, alle accuse ricevute dal presidente dell’Ordine dei giornalisti del Piemonte, Alberto Sinigaglia, dopo che il 25 novembre Non Una di Meno Torino ha preso parola e ha organizzato delle azioni simboliche fuori dalla sede della Rai, dell’ordine dei giornalisti e di alcune redazioni locali. C’è stato un mail-bombing, c’è stata della vernice fucsia sui marciapiedi davanti a quelle sedi e ci sono stati dei volantini sparsi a terra con le stampe di titoli e articoli in cui si parla di assassini come di “giganti buoni”, di donne che vengono stuprate definite “ingenue”, di altre che se la sono cercata, di mariti disperati per la separazione che agiscono in preda a raptus o per “troppo amore”, di “delitti passionali”. Decine di esempi: è la normalità, il quotidiano della stampa nazionale,
Dal momento che questa risposta non troverà spazio penso sia importante leggerla e diffonderla:

«Ci preme rispondere a queste accuse perché il tema dell’informazione e delle narrazioni violente ci chiama in causa in prima persona. Chiama in causa la nostra azione politica, il nostro modo di concepire e praticare il femminismo, il nostro modo di significare politicamente una giornata importante come quella del 25 novembre e chiama in causa soprattutto il nostro quotidiano, le nostre vite.
Chi scrive sui giornali, chi racconta e costruisce le narrazioni che poi divengono senso comune, chi detiene il potere dell’informazione, un potere enorme e pervasivo, non può non essere cosciente di essere in una posizione di privilegio.
E non può non sapere di avere una responsabilità sociale, politica e culturale enorme. Nel momento in cui questa responsabilità è sistematicamente tradita, ogni strumento di  presa di posizione dal basso, come il mailbombing, e tutti gli altri che abbiamo usato e useremo continueranno a essere giusti e necessari.
Lo dobbiamo a noi stess*, alle nostre vite e a quelle di chi non c’è più o rischia ogni giorno di essere ammazzata, di subire qualche forma di violenza.
(…) Rivendichiamo quelli del 25 novembre, e non solo, come gesti di responsabilità personale, politica e collettiva.
Chi decide che le rivendicazioni delle donne possono essere tollerate solo se mosse in punta di piedi o chiedendo il permesso a chi già detiene voce, potere e privilegio economico, culturale e politico?
Le dichiarazioni in questi termini, mistificatori e tendenziosi, da parte del presidente dell’Ordine dei giornalisti e del gruppo Giulia, nella giornata in cui abbiamo denunciato al mondo quanto e come subiamo violenza ogni giorno, sono davvero violenza nella violenza. Hanno il sapore del “non creduto” e del “non legittimato”, tipico proprio di quegli abusi e di quelle violenze quotidianamente subiti. Spostano lo sguardo dal punto e delegittimano la matrice politica e culturale di queste azioni».

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